Raffa is burning

Essere una semiprecaria – quasidisoccupata oggi ha i suoi lati positivi: la febbre, ad esempio. Nel senso che io, da lavoratrice atipica, ero abituata ad andare a lavoro pure con la broncopolmonite e a recuperare ogni eventuale ora dedicata alla mia salute (fisica e mentale). Questa volta, fortunatamente, no. Sto buttata sul letto a quattro di bastoni. Probabilmente il virus si è reso conto di avere via libera e si è manifestato in tutta la sua potenza: febbre a 38 e mezzo, gola in fiamme, tonsille gonfie, dolori alle articolazioni come se avessi preso parte a una rissa alla Fight Club. Ergo, sto buttata sul letto a quattro di bastoni perchè non possiedo più la capacità di stare in posizione eretta. In questa fase di regressione ho imparato varie cose tra cui: 1)lo yogurt Mio a banana è buonissimo; 2)la canzone “Ti amo non ti amo” di Raffaella è bellissima; 3) il Velamox sa di menta; 4) mai e dico mai mettere i sandaletti aperti senza calze quando si muore di freddo che tanto pure Carrie Bradshaw lo faceva.

(in aggiornamento)

Ps: ho finito la correzzione delle bozze. Ma questa è un’altra storia.

Commenti

  1. A mia discolpa dirò due cose:
    la prima, era ironico.
    La seconda (molto molto meglio), avevo la febbre.

    Voi giovani non avete niente da fare che stare a sottolineare gli errori della vecchiaiaaaa (buona anche questa).

  2. Ciao,
    ho conosciuto il tuo blog grazie ad un’amica che mi ha mandato la locandina della presentazione del tuo libro intitolato Santa Precaria. Innanzitutto ti faccio i miei più sinceri auguri affinchè il tuo libro possa incontrarei favori del pubblico.
    Ho letto a sprazzi e un po’ a caso gli articoli del tuo blog, tutti o quasi,avevano come leit-motiv la problematica della precarietà o dell’assenza di lavoro. Fermo restando che conosco benissimo i gravissimi problemi lavorativi che attanagliano la nostra terra non ho potuto resistere a farmi una domanda…Puo’ la precarietà diventare uno stile di vita??
    Mi spiego meglio, può il fenomeno del precariato assurgere come unico e totalizzante senso della nostra vita?
    Leggendo i tuoi post è difficile pensare il contrario, arrivare ad ostentare la propria vita di precaria,
    scrivendoci un libro, non sarebbe meglio cambiare angolo visuale??
    Credimi che il posto sicuro o fisso non è la soluzione di tutti i mali e che forse il marcio non sta
    solo nel precariato ma il problema è più complesso, e riguarda tutto il mondo del lavoro, colpendo
    lavoratori atipici e non.
    Va da sè che le mie parole sono solo osservazioni e non vogliono rivestire alcun tono polemico.

    Ti saluto, Claudio.

  3. Ciao Claudio, benvenuto!
    Spero con il mio libro – che non è un’autobiografia o un manuale ma un romanzo – non si fermi al solo “problema lavoro” perché il mio obiettivo, scrivendolo, era dare una minima contezza della vita di provincia, del sud, del sogno di affermarsi, del mondo della comunicazione.

    Per quanto riguarda questo blog, invece, quello che tento di raccontare qui è ciò che vivo, di giorno in giorno, e ti assicuro che provo a farlo tenendo sempre a mente la famosa “leggerezza” raccomandata da Italo Calvino per guardare in faccia al presente senza esserne schiacciati. Non penso di avere una chiave universale per scandagliare il precariato: qualsiasi tipo di lavoro, atipico o meno, se non vengono rispettati certi diritti può avere risvolti da incubo kafkiano. (sic!)

    Grazie mille del commento. A presto,