Nemo propheta in patria

Stamattina hanno suonato alla porta. Era un’operatrice di non so quale compagnia telefonica. Ha i capelli piastrati, una cartelletta bianca in mano. Mi guarda da dietro gli occhiali da sole a goccia e fa: “Tieni il telefono?”. Faccio sì con la testa e lei segna qualcosa sul foglio. Preciso: “Si, ma tanto non serve a niente”. Mi guarda basita, con la penna a mezz’aria: “In che senso?” continua. “Nel senso che è inutile. Dovrei avere qualcuno da chiamare a telefono, per prima cosa” puntualizzo. Ho la faccia affranta, lo so. Ho finito di piangere due secondi fa davanti ad un comunicato stampa. Mi guarda ancora, poco convinta: “C’è un’offerta che allora può essere interessante perchè…” Apro le mani e alzo braccia, come se stessi dirigendo le ultime battute di un’orchestra: si ferma di botto. Ci guardiamo per un nanosecondo di pace cosmica. Lei mi sorride e le sorrido anch’io di riflesso, incerta dell’aspetto che ho, del mio pigiama, dei capelli legati e degli occhi rossi. Ma lei è sicura, adesso. Cambia foglio dalla cartelletta, riprende la penna. Apre la bocca lentamente e mi dice: “Stai cercando lavoro, vero?”

 

Commenti

  1. forse mi sono espresso male, ma volevo chiederti come mai piangevi e ho scritto “cosa conteneva di drammatico?”
    ti regalo un sorriso