Befane
L’ultima volta che mi hanno fatto la calza della befana c’erano ancora i ciocorì e i biancorì e pure qualche rimanenza di hurrà, li vendeva tutti Salvatore il tabaccaro. Salvatore il tabaccaro era appena subentrato al padre, un tizio secco e lungo che teneva il fumo attaccato alla camicia, pareva veramente una nazionale. Sono nata in un epoca in cui oltre alla puteca, dai genitori si ereditava anche l’apposizione vicino al nome e Salvatore era il tabaccaro della nuova generazione, teneva la sciarpetella ocra, i capelli lunghi e fumava le camel. I chicchirichì e le crostatine del mulino bianco, il twix che si chiamava raider e il duplo che era una tavoletta si potevano trovare, invece, il sabato al mercato del borgo alla puteca del nonno di Giuann. Povero Giuann, teneva cinque anni e già era Giuann o’ saracaro perchè la mattina, prima di portarlo a scuola dalle suore, la madre lo portava al mercato e Giuann si riempiva il grembiule di sarache (macchie di olio). C’era anche un tizio con il camioncino dei latticini: salivo le scalette di lamiera bagnate di siero e lui mi regalava una mozzarella o un pezzo di scamorza. Ricordo chiaramente il momento in cui sono salita sulle scalette e non ci ho trovato lui ma il figlio e il figlio non era propriamente molto gentile o ero io troppo grande.
L’estathè stava solo al limone con buona pace mia e quando si faceva la spesa non si doveva specificare estathè al limone semplice non deteinato non con fruttosio. L’estathè si comprava da Antonio il lattaro. Antonio il lattaro era pure simpatico anche se assomigliava ad un tizio porco che stava nei fumetti di Sprayliz e quando andavo a fare la spesa a credito non protestava. Antonio il lattaro è stato anche una componente essenziale nella mia vita intellettuale perchè le prime letture della mia vita le ho fatte davanti al suo bancone degli affettati, snocciolando la lista della spesa. Ad un certo punto, più o meno al punto in cui a scuola insegnano le equivalenze, sono andata in confusione: forse avevo capito che era poco chic chiedere “cento grammi di mortadella” oppure mi attraeva il fatto che potessi intendere una cosa dicendola in dieci modi diversi e così avevo preso a chiedere “un etto”, “dieci decagrammi” “mille decigrammi” sempre di mortadella. Antonio il lattaro però stava a sentire, magari intanto iastumava tutti i santi a fila, ma non fiatava proprio. La moglie, la figlia e il figlio invece no, tenevano tutti la faccia da sgorbions, e quando io mi presentavo a leggere facevano battute ironiche del tipo: “oh, già so’ l’una, mo’ accumenza il telegiornale”, sti stronzi. Quando gli è andato a fuoco il negozio sono stata molto felice ma non era comunque abbastanza rispetto al danno enorme arrecato alla mia autostima. E’ colpa loro se, a Pitigliano, Marcello Baraghini e Alice dovevano mettermi una mano sulla spalla e dirmi di leggere più piano.
Mo’ la questione è : il signor Enzo mi ha riportato i chicchirichì e se glielo chiedo sono sicura che mi trova pure i lion, ma dove posso trovare i ciocorì?