Le luci nel buio di case intraviste da un treno

Ho il ginocchio chiuso in una fascia elastica stretta sotto i pantaloni a costine. Mi pare che così non lo senta cedere quando mi alzo in piedi e fino alla cucina riesco a camminare. Mi sono costruita una specie di armatura di velluto e garza, ai piedi le scarpette basse. Ci ho provato a mettermi i tacchi e il dolore mi pareva tollerabile pure ma li ho dovuti togliere subito: sentivo la gamba destra franare verso l’interno. Non so dove ho letto che questa mancanza  d’equilibrio è poi la ragione d’essere delle scarpe alte e che più dei centimetri che regalano a me bassa -un metro e sessantacinque ad essere buoni-  è l’assenza d’equilibrio stabile ad attirare gli sguardi.  Sarà.  Ma al momento, non avendo altro baricentro, dico no al movimento ondulatorio: delle mie gambe devo sentirmi sicura adesso che faccio le valigie e poi io e voi saliamo su un autobus, poi scendiamo e aspettiamo che qualcuno venga a prenderci fuori dall’Obelix Café.

Per uscire da Napoli ci mettiamo tre quarti d’ora ed è una fortuna già esser riusciti a salire su quest’autobus zeppo di impiegati pendolari studenti che tornano a casa per le feste con buste di plastica sciarpe e cappelli appallottolati nel vano bagagli sopra le nostre teste. L’unico posto possibile è accanto ad una ragazza occhialuta: l’autista ha deciso per noi, ritto sulle scalette del mezzo. Ed ora siamo qui, la ragazza dorme con la testa attaccata al finestrino, due pozze di calore le narici che appannano la visuale di San Giovanni Barra San Giorgio a Cremano.

Io e voi leggiamo e ascoltiamo musica dalla cuffietta destra, l’unica che ancora funziona. Quando siamo stanchi e il ginocchio riprende a farci male (ognuno di noi ha un doloretto, localizziamolo per economia di linguaggio nella coscia destra), allora pensiamo. Pensiamo che è quasi Natale e che al nostro arrivo ci saranno parenti amici compere. Pensiamo ai castagnacci nerissimi che speriamo di trovare sulle nostre tavole, al bailes col quale allungheremo i nostri caffé la sera della vigilia.  Pensiamo che tutti quanti in questo autobus avranno lo stesso futuro prossimo di lenticchie e tombole e file nei supermercati oltre il nero della Salerno-ReggioCalabria, frammentato qua e là dai presepi illuminati sulle rocche montagnose dell’agro nocerino. C’è anche una luna grande giallo acceso, la ragazza occhialuta ci dorme sotto mentre gli altri fotografano col cellulare.  Voi e io, col mio ginocchio poco sicuro, ci diciamo di quella canzone che racconta delle luci nel buio di case intraviste da un treno. Ci diciamo delle mille  volte che le abbiamo viste, di quelle in cui abbiamo creduto di poterle quasi toccare tanto erano vicine, simili alle nostre che potevamo già entrare, riabbracciare, guardare dalla stessa finestra da cui ora siamo fuori.

Fuori dall’Obelix Caffé c’è un freddo porco, ci sono i militari che aspettano il treno giusto per tornare in caserma, c’è qualcuno che ci aspetta e che ci chiede come stiamo solo dopo averci tolto il peso dei bagagli. La ragazza con gli occhiali è rimasta a dormire e ciò significa che proseguirà dritta fino a Lagonegro, dove il gelo sarà sicuramente più forte. Guardiamo nella sua direzione, ma il vetro, adesso, è completamente appannato.