Una tizia nel giorno dell’Unità d’Italia
Pioveva, sono andata a teatro, Bukowski, Storie di ordinaria follia. Il posto piccolo era colorato e zeppo di persone, a terra c’erano cuscini con le nappine, al banco bar servivano cous cous. Noi ci siamo mossi compatti come fossimo in una kasbah, abbiamo preso posto quasi in scena e in scena entra questo ragazzo: Giacomo, poco più di vent’anni credo, carnagione olivastra, secco e coi baffetti, i capelli nerissimi, proporzionato, piccolo, ben fatto. Insomma, Giacomo prende il microfono e comincia a leggere e mentre legge, bum! Si accascia al suolo. Noi ci guardiamo interrogativi, tutto il posto colorato indiano zeppo si guarda interrogativo, la domanda rimbalza sugli specchietti etnici. Gli specchietti etnici ci rimandano la risposta: ma è Bukowski, ci diciamo. Così Giacomo si alza e riprende a leggere. Fa per accasciarsi di nuovo ma no, è vigile e attento: Giacomo sta bene, è tutta scena da attore consumato, la sua. Difatti dopo tre secondi rovescia gli occhi al cielo e si accascia nuovamente a terra con un sonoro tonfo sui miei piedi. Così tutti quanti capiamo che no, non era Bukoski, era l’influenza.
Questo per dire che l’influenza l’ho avuta anch’io in questi giorni ed è una specie di supersbornia: si ha la febbre altissima, si suda e si delira e si sviene, per l’appunto. Non fosse di cattivo gusto parlare di devastazione, direi che è abbastanza devastante come cosa. L’influenza io sono sicura di averla presa in treno, di ritorno da Roma. Certo, a Roma ho preso freddo mentre sul treno c’erano i riscaldamenti ma sapete com’è: io a Piazza Vittorio per il secondo appuntamento di Se non ora, quando? quasi dieci giorni fa, stavo bene, altrochè. Veder lavorare assieme tante donne, da Cristina e Francesca Comencini a ragazze giovani come Sara De Simone, da ginnaste che provano in un gazebo in attesa di salire sul palco fino a Carmen Consoli, era bellissimo. In quei momenti confusi ed elettrici, stavamo, io e Carmen (e anche altre persone, ma dico, le altre persone purtroppo le conosco poco a parte Tosca e Paola Minaccioni e Lunetta Savino che è tanto brava e certe ragazze attrici giovani con cui ho fatto amicizia perché bisogna pur scambiare confidenze con le persone con cui si fuma, no?) Comunque, stavamo io e Carmen Consoli vicino alla stufetta e io le ho detto che avevo il dovere morale di baciarla sulle guance e lei ha riso. Non sono stata così sfacciata con Emilio Solfrizzi, ma vabbé. Non potevo certo dire aaaah, Emilio Solfrizzi! ad Emilio Solfrizzi e dato che era l’unica cosa che mi veniva ho preferito non dir niente. Comunque, adesso prendo l’antibiotico e faccio la persona seria, aspettate un momento.
Augmentin da 1 gr, perché una pillola per il mal di gola ha le dimensioni di una pietra?
Dunque, le cose serie. Sto partecipando alle attività del comitato Se non ora, quando. Sto partecipando alle attività del comitato Il nostro tempo è adesso. La ragione è presto detta e anche se io sono impulsiva e le cose le capisco prima con le mani e gli occhi che con la testa, ho una frase che mi batte nelle tempie: sto partecipando a queste attività perché mi sono rotta. Del fatto che il silenzio sia presentato come l’unica risposta possibile e non per dignità, o meglio, non solo: il silenzio, sempre più spesso, è buono perché non compromette, perché costa poco, come il buio. Lo dico io che sono notoriamente silenziosa: ultimamente sento questo generale click, luci che si spengono e silenzio come se ci fosse una gigantesca bolletta che non potremmo pagare a fine mese. Nel mio star zitta ho piazzato un termometro che mi avverte: sto osservando e perciò sto muta e attenta, o quello che accade mi è completamente indifferente, quindi sto in silenzio perché nulla, niente davvero mi tocca? Mi direte che lo stesso succede a parlare e che non è detto che chi prende la parola lo faccia con la cognizione di produrre più di un blablabla. Il fatto è che ultimamente io mi accorgo di più delle cose, mi accorgo di ciò che mi fa battere il cuore e di ciò che mi lascia fredda, di ciò che fa sentire inutile me e le piccole cose che faccio quotidianamente.
Dicevo che mi sono rotta: principalmente del fatto che la furberia sia diventata una credenziale da esibire, nei quiz televisivi così come nei luoghi di lavoro, nella scrittura, nelle cose in cui di norma non c’entrerebbe niente. Quand’è successo che esser stronzi è diventato un complimento? mi chiedo. Quand’è successo che scendere nelle piazze della propria città è diventato un fatto nuovo, un fatto che non serve e se serve sicuro c’è qualcosa sotto, oh sì? Sono stanca di chi mi presenta la cautela come carta vincente, anche qui con questa specie di clausola sulla testa, quantità minima di furberia richiesta, anche qui con il sottinteso chiarissimo: stai zitto e accomodi le cose quindi hai un tuo ritorno personale. Bravo, sei più furbo di quello che credevo.
Ieri, nella città in cui sono nata hanno fatto una grande parata coi cavalli, poi, nella piazza principale , il sindaco ha soffiato su 150 candeline, tante per quanti sono gli anni di vita della nostra nazione. Forse, ho pensato, ha anche lui il problema di come passare il tempo ad Eboli, luogo che amo, in cui sono cresciuta e che ha, attualmente, lo stesso livello di fermento di certi campi lasciati incolti, coi covoni di fieno che rotolano. Stamattina ho pensato che sarebbe stato bello stare a casa oggi anche se alle volte la odio per le cose che non è riuscita a darmi, per avermi proposto la fuga da quand’ero adolescente e per non avermi mai dato un motivo vero per restare. Ho preparato lo zaino in fretta, mi sono vestita. E poi ho scoperto che non c’era un treno, dico uno, che m’avrebbe permesso di tornare e ripartire per tempo, non un solo modo per fare centochilometri andata e ritorno, in Campania nel giorno dell’Unità d’Italia.