La ragazza nel 2012

‎Il post intimista che vi mancava sul fatto che è dicembre, tra poco dovrebbero arrivare i Maya e comunque, anche se non vengono, un altro paio di settimane e si passa all’anno nuovo

“Scrivi una parabola o una fiaba che renda l’idea di com’è stata la tua vita nel 2012”, dice Brezsny dall’oroscopo dell’Internazionale, e io sono indecisa se narrare la storia di una che ad un certo punto compra un kalashnikov o quella di una che ad un certo punto boh

Il primo ricordo che ho della ragazza nel 2012 la vede dare 70 euro a Gennaro, barista del posto che frequenta con successo da qualche anno (e quando dico con successo significa che può chiedere un rifornimento di noccioline anche 3 volte prima che la guardino male). Comunque niente, la ragazza dà questi 70 euro a Gennaro e gli dice: “Voglio investirli tutti in rum e pera”.  E’ il suo compleanno, l’ultimo dei venti, fuori piove, lei dondola nel buio della saletta su un dolorosissimo paio di tacchi neri di Zara, fa muovere un vestitino blu elettrico, prova due passi sulla discomusic anni Ottanta che viene dalle casse e qualunque immagine si possa avere di lei dal di fuori – nelle foto ride molto – non è felice manco per un quarto.

Febbraio, marzo e aprile non sono mesi, ma pistole, con il silenziatore incorporato: la ragazza quasi stramazza al suolo, le fa male la vita, il cuore ma più che altro la schiena. La ragazza non è tragica, ma diciamo che il dolore è qualcosa che le riesce bene sopportare. I libri forse le hanno fatto male, le fiale di voltaren e nicetile sicuro, e non perché le offrano giustificazioni, cosa che comunque non si concede con facilità.  E’ una questione di resistenza, la sua: dovrebbe mollare la presa e stramazzare del tutto. In questo senso qualsiasi aiuto che venga da letteratura o medicina non è utile. La ragazza scende a patti, accetta di perdere qualcosa: peso e anche qualche centimetro d’altezza. Le hanno intimato di scendere dai tacchi proprio come in un film poliziesco intimano di posare le armi, e alzare le mani. Ha detto sì.

Passano maggio, giugno, luglio e lei è più bassa, ma anche più veloce. Si ricorda che Pasternak ha scritto che viviamo per vivere, non per prepararci a vivere, ma fa finta di non sapere cosa ciò significhi. Per evitare di capirlo si imbarca tra Torino, Palermo, Berlino, Bologna e si ferma anche a Firenze per vedere la luce che la spacca a metà come in quella canzone che le piace ancora tanto. Per fortuna arriva il caldo e agosto, a darle un bel paccarone a cinque dita e farla svegliare, un poco come De Magistris ieri che ha finalmente preso un po’ d’aria e risposto a Saviano

A settembre corre, ottobre e novembre sono mesi in cui la ragazza mangia caldarroste e balla su Sweet Home Chicago, impara a fare certe torte decorate americane e statuine di pasta di zucchero rappresentanti attaccanti della sua squadra del cuore, pianta un albero di ulivo, macina chilometri, prende treni, guarda quasi tutte le puntate dei Sopranos e canta dal retro di un furgone, tornando a casa una sera o il sabato mattina, davanti allo specchio, utilizzando una spazzola come microfono. Ha tagliato i capelli e ha smesso di raccontarsi storie: le scrive, e le basta. Qualche settimana fa ha impacchettato alcune cose che appartengono ad un periodo relativamente vicino eppure oramai chiuso, ma non le ha gettate via: ha preferito portare in cantina questo scatolo di scarpe che contiene tutt’altro, nasconderlo sulla mensola più alta e aspettare il tempo in cui potrà riaprirlo. Non sa se sarà forte della prospettiva storica, della giusta distanza o di un qualche, metaforico mercurio cromo, ma non ha dubbi sulla riuscita dell’impresa. 

Oggi, dicembre, a due settimane circa dalla prospettata fine del mondo e ad un mese e mezzo dai suoi trent’anni, la ragazza sta sulle scale antincendio del posto in cui lavora, chiusa in grande maglione blu, a fumare: ieri si è fermata a leggere i bigliettini di Natale appesi al grande albero sotto la Galleria, mentre fuori infuriava il diluvio. I bigliettini erano quasi tutti staccati, una specie di cernita dei desideri presi in considerazione da un Dio che compare solo attraverso precipitazioni metereologiche. Un tempo la ragazza si chiedeva conto dell’utilità e inutilità delle cose: oggi ha smesso e si pone interrogativi decisamente più edificanti a cui vengono dedicati convegni pubblici, del tipo: “L’area mediterranea è il capro espiatorio della crisi?”. Rispondono diversi interlocutori, storici ed economisti, in italiano, spagnolo, francese, c’è una mostra fotografica a corredo. Non ha ancora deciso di cosa occuparsi, ma il 2012 le è bastato come lezione da imparare e ricordare, un po’ come cantava Madonna nel suo periodo biondo cenere.

Per il prossimo anno non ha più domande, non ha più risposte o desideri: non s’aspetta altro che di giocare a Scala 40. Quando si sparigliano le carte, la ragazza sorride. Non sa cosa calerà a terra, ma non ha paura: “Qualcosa  – mi ha detto, spegnendo la Marlboro Gold – qualcosa sicuro ne verrà fuori”.