Cosa c’entra la Famiglia Addams con la responsabilità delle proprie azioni
Secondo me l’infanzia è quel periodo della vita in cui puoi dare la colpa di qualcosa ad un altro senza che ci siano troppi problemi o rimostranze; di solito non c’è manco bisogno di cercarlo, quel qualcuno: si presenta di sua sponte con l’aria contrita e il gioco è fatto. Detto ciò, la mia infanzia è finita nel 1992, subito dopo l’uscita in Vhs della Famiglia Addams, quello con Christina Ricci che fa Mercoledì, per capirci.
Spiego: da bambina ero un esserino asociale esattamente come oggi che preferiva leggere i fumetti dell’Intrepido o guardare quel genere di film di cassetta che in un futuro non pronosticabile ma prossimo sarebbero stati catalogati con il bollino giallo che indica la necessità della presenza di un adulto a commentare le scene più cruente. L’adulto non era disponibile, credo sia utile dirlo, e se per i miei genitori era possibile giustificarne l’assenza, per la persona che pagavano come loro vice, tale Carmen la stronza, no.
Carmen la stronza adorava piazzarmi davanti al televisore, altroché.
Intanto lei faceva cose come lagnarsi a telefono con la sorella della fine del suo matrimonio, o prendere appuntamento con il parrucchiere e l’estetista o chiudersi in cucina a vedere Santa Barbara sul due. Insomma, la televisione, al cospetto di Carmen la stronza, era una figura autorevole, con una certa morale e di sicuro una tinta di capelli più accettabile.
Ma la storia di come la mia infanzia ebbe fine non ha a che fare propriamente con lei quanto con il mondo degli adulti in generale, e quindi non voglio attribuirle alcuna colpa se una sera di ottobre di venti e passa anni fa, per la prima volta ho capito cosa significa prendersi la responsabilità di un’azione.
Il fatto è questo: avevo tipo 9 anni e rompevo il cazzo con il film della Famiglia Addams. Al mio paese non c’era il cinema o forse i miei non avevano i soldi per portarmici, non lo so, di certo c’è che io perseguitai per mesi il cristiano del videonoleggio chiedendo lumi sull’uscita in vhs. E un giorno, alla mia richiesta lui rispose: “Ce l’abbiamo”. Quindi tutta gioiosa fittai l’oggetto dei miei desideri e me ne tornai a casa, mi piazzai davanti al televisore, e tadanbumsclash, lasciai cadere a terra la vhs che si ruppe in mille pezzi.
Al che mia madre uscì dalla cucina (quel giorno era presente), mi spiegò che avevo le mani di ricotta, e mi invitò a prendermi le mie responsabilità prima che tornasse mio padre e mi facesse prendere anche qualcos’altro. Dopodiché mi spinse a tornare al videonoleggio dove avrei spiegato l’accaduto. Mia madre, notate bene, non mi disse né che la situazione era risolvibile né che i master delle vhs si rimpiazzavano, no: lei* mi ha fatto uscire di casa pensando di aver rovinato per sempre la pellicola del film che volevo vedere da un anno e che molto probabilmente non avrei visto mai più, cosicché mi sono presa anche la cazziata – che in un secondo tempo avrei imparato a catalogare come “espressione di uomo cui sono stati rotti i coglioni” – del tizio del videonoleggio.
Tutto questo per dirvi che se ci sono riuscita io, appena infante, a capire che ognuno si prende le responsabilità delle proprie azioni e tenta di porvi riparo in qualche modo (ad esempio, io misi da parte i soldi per acquistare la videocassetta originale, mesi dopo, e imparare a memoria le battute) può riuscirci anche un uomo grande grosso e vaccinato, soprattutto se intende rappresentare lo Stato o una delle sue forme. Grazzie.
*che poi vorrei dire, c’avevo 9 anni, mamma, e noi abitavamo in un posto che era praticamente il bronx nella versione della provincia di Salerno, e tu mi mandavi sola al videonoleggio (ndr, mia madre legge il mio blog).
Secondo me, la vicenda la si può guardare anche da un altro punto di vista. C’è chi, a 9 anni, tenta di porre riparo alle conseguenze delle proprie azioni mettendo da parte i soldi per acquistare la videocassetta originale. C’è chi, a svariati e variegati anni, tenta di porre riparo alle conseguenze delle proprie azioni buttandosi in politica e non mollando l’osso finchè non l’ammazzano. Da questo punto di vista tu e l’uomo politico vi assomigliate più di quanto può sembrare.
Mi scuso per l’idiozia di questa mia ultima affermazione, ma ultimamente ho sviluppato una certa passione per le battute malriuscite. Ovviamente il tema è quello della responsabilità. Trovo perfetta la tua definzione dell’infanzia. Leggendoti, mi è venuto in mente il primo libro che ho letto all’Università. Era il corso di Sociologia, il mio primo esame e il professore ci diede da leggere “la tentazione dell’innocenza”. L’ha scritto Pascal Brukner, un francese di cui non so molto. Il tizio, comunque, diceva che l’uomo contemporaneo manifesta una spiccata propensione a voler sfuggire alla responsabilità delle proprie azioni e alla stretta causalità che da esse ne deriva. In pratica si vuole pretendere sempre che la colpa sia di qualcun altro, come se si avesse una malcelata aspirazione al ruolo della vittima. Per lui si tratta di un fenomeno sociale e per questo nelle nostre società l’infanzia e gli infanti risulterebbero quasi mitizzati. Devo dire che, pure se non ho mai approfondito abbastanza la figura di sto fantomatico Pascal Brukner, non credo avesse tutti i torti. Tra l’altro è un tema di cui ne ho contezza proprio a livello personale, in quanto a ben riflettermi, mi parrebbedi non poter dire che io l’infanzia l’abbia del tutto abbandonata. Mio malgrado. Forse.