Rose la psicolabile
Un post che volevo scrivere da una vita, o per lo meno dalle ultime 24 ore.
Da brava figlia degli anni Ottanta, ho visto Titanic nel meglio della mia adolescenza: avevo, all’epoca dei fatti, circa 15 anni e mi accompagnavo ad una discretissima compagnia composta di giovani esponenti di sesso femminile residenti nella provincia della provincia del Sud Italia. Eravamo io, una tizia che non nomino perché potrebbe riconoscersi e farmi una palla gigante, quindi la chiameremo Palla Gigante e Giovanna, l’unica donna al mondo persuasa dal fatto che Diana non fosse la moglie di Carlo d’Inghilterra bensì di Bill Clinton – idea espressa con coraggio durante una lezione con la madrelingua inglese – e che il paragone con Brenda Walsh fosse un complimentone su cui fondare la propria immagine.
Il nostro terzetto, che si reggeva su una sola base fisica, la logica sociale che rispondeva ad una sola domanda, ovvero “quanto ci mettono i tuoi a venirti a cercare nella piazza principale del paese brandendo una cucchiarella di legno?”, era noto per avere una libertà di movimento un po’ più ampia rispetto a quella delle nostre coetanee: potevamo, cioè, muoverci verso i paesi limitrofi quali Battipaglia, Campagna, Pontecagnano con scioltezza e il massimo che poteva capitarci era di trovare il padre di Giovanna in macchina sotto casa di una delle altre due. Comunque il padre di Giovanna di solito dormiva e puzzava leggermente di vino; tra l’altro il suo spessore culturale raggiungeva al massimo il commento “Luca, Luca, guarda ‘e zizz'”, ‘e zizz” rivolto al figlio minore durante Striscia la Notizia. I miei genitori monitoravano invece la mia vita sociale attraverso la lettura dei quadri scolastici semestrali, e comunque dato quello che avevo passato alle medie già il fatto che non tornassi a casa scormata di sangue era da ritenersi un grande passo avanti verso un futuro da socialite.
Far vedere Titanic a noi altre fu come spruzzare acido sulla melassa: i risultati furono strabilianti. Ma andiamo con ordine.
Nel mio paese il Cinema era morto. Nel senso che seriamente c’erano due sale – l’Italia e il Ritz – che nel decennio compreso tra l’incontro dei miei genitori e la mia infanzia si erano spente di botto ed erano rimaste vuote a fare da casa dei fantasmi per i bambini che, crescendo, cercavano di darsi una spiegazione tecnica a quei grossi spazi disabitati. L’ultimo film che avevo visto al cinema prima di Titanic era, dunque, “La Sirenetta” della Disney. Ma era tipo il ’98 e Leonardo di Caprio ci chiamava, per quanto a me i biondi non facciano molto effetto: era sulle copertine del Cioè, sui poster in camera, nei diari scolastici. Pareva che chiunque avesse qualcosa da dire sul suo fascino imberbe fosse una bambina scema. Ergo, se Giovanna aveva già chiara l’idea di sposarlo e Palla Gigante, da qui in poi PG, che era già alle prime pomiciate si sentiva una donna consapevole e capace di attestare con certificato sociale la prestanza di un uomo, io mi tenevo più sul genere faccio-finta-di-niente-oh-sì-Leonardo-è-proprio-bellissimo, mentre segretamente continuavo a preferire il genere cantante inglese originario di Manchester, cose tipo Jason Orange, per capirci. Se non volevo ritornare ai bei vecchi tempi delle medie mi conveniva tacere e cercare un autobus per Battipaglia, direzione cinema di cui non ricordo il nome.
La cosa fu molto semplice: mezza sala piangeva già al primo flashback della vecchia pazza che butta il Cuore dell’Oceano nell’Oceano senza pensare alla fame nel mondo, io cercavo di capire le parole di “My heart will go on” che è – diciamolo chiaramente – una delle peggio canzoni del mondo come dal saggio “Musica di merda” di Carl Wilson. PG cercava, con piglio da dura, di trattenere le lacrime ma aveva gli occhi fissi tipici di quelli che non vogliono piangere, non vogliono piangere, non piangerò Dio mio. Giovanna era senza ritegno: alla pudicissima scena del sesso automobilistico tra Rose De Witt Bukate e Jack Dawson confessò tra le lacrime che la sua prima volta sarebbe stata proprio così (ovvero nella stiva di una nave che sta per affondare). E io? Cazzo, poteva mezzo cinema comprese le mie migliori amiche piangere come un vitello – ammesso che i vitelli piangano – mentre io restavo la solita insensibile silenziosa piccola ragazzetta coi capelli biondi dietro e rossi davanti e le tette ancora troppo piccole? No!
Io ero come loro. Non ero quella strana che invece di baciare Domenico se ne era scappata giacché lui le aveva messo la mano al culo; non avrei argomentato che il film era pleonastico che tanto lo sappiamo già come finisce; non avrei spiegato che conoscevo anche la versione in lingua francese di “My heart will go on” e la trovavo migliore di quella inglese poiché Celine sembrava più a suo agio essendo una quebequese. Io sarei stata zitta. In sollucchero. IO AVREI PIANTO.
Piansi. Finsi una costernazione senza ritegno, davvero. Quella stronza di Rose De Witt Bukater saliva sulla scialuppa e Leo/Jack no? Raffaella scoppiava in singhiozzi. Quella cazzo di borghese progressista di Rose che – devo dirvelo, è lei il vero problema del film – sentiva il pianto di un bambino e correva a salvarlo? Raffaella si lagnava come affetta dal più tremendo mal di stomaco/colera. Jack/Leonardo Di Caprio, universalmente e moralmente riconosciuto come espressione formale dell’uomo che rinasce dopo il crollo della società industriale, annega dopo essersi congelato? Raffaella arrossisce, tossisce e TADAN, non facendocela più si rivolge a Giovanna: Giovà, ma scusa, se lei si spostava un poco ci stavano entrambi! Come vi ho detto, all’epoca Giovanna non era al massimo della sua capacità percettiva, ergo non poté suggellare la mia teoria che avrebbe trovato così conferma solo anni e anni dopo. Riuscì, però, a relazionare ampiamente circa la mia stranezza e insostenibile noncuranza appena uscita dalla sala. Ergo, PG pensò bene di farmi rimediare alla cosa offrendo al gruppo la possibilità di vedere, anzi, rivedere e rivedere e rivedere ancora Titanic: mi sospinse, ovvero mi scortò verso il più vicino videonoleggio, dove per la modica cifra di 45 euro prenotai Titanic in Vhs aggiungendo il mio nome ad una lista di fan di Leonardo di Caprio già lunghissima.
E il tutto tacendo su quell’unica scena buona di tutto il film in cui Jack è ammanettato mentre la nave affonda. Adesso, sia io che voi e probabilmente anche Jack sa che deve morire e di fatto così accadrà poco dopo, ma Titanic esplicita una cosa fondamentale nello svolgersi dell’ineluttabile: tra la possibilità che il nostro anneghi o si salvi c’è la sottile sfumatura di una morte resa leggermente più sopportabile dalla certezza di essere amato. Infatti Rose che non sposta il culo praticamente mai, una cosa buona la fa.
Ma analizziamo il problema Signorina De Witt Bukater personaggio che se mai volessimo traslare in un’epoca più vicina a noi sarebbe un’adolescente viziata e psicolabile. Ma analizziamo i fatti.
Rose ha 17 anni e:
- fa già un chiaro, continuativo e stabile uso di tintura color rame e trucco da teatro;
- ha una certa propensione anche per la pratica del tight lacing;
- si fa abitualmente, come dimostra il suo rapporto con l’alcol e il fumo;
Mentre sta tentando il suicidio per sfuggire alla sua piatta vita e ad un rapporto di mero d’interesse economico voluto dalla madre, conosce Jack. Meno di 24 ore e lascia mamma fidanzato prima classe e va a ballare con lui nei bassifondi. Avanti di mezza giornata e gli si spoglia nuda davanti e dice: tieni, qua stanno 50 centesimi, fammi il ritratto. Però non gliela da. Almeno non per i seguenti 15 minuti.
Poi il Titanic finisce contro l’iceberg e un pezzo di ghiaccio va pure in testa alla cara ragazzina che fino ad ora non ha ‘ncarrato n’ova int”o piatto: difatti, mentre il caro Jack è ammanettato ad una colonna e la nave comincia ad imbarcare acqua, lei inizia a mandare affanculo tutti de visu (prima lo faceva in silenzio) e raggiunge il nostro. Trova un’ascia, spezza le catene del nuovo Spartacus e tra milleuno peripezie i due raggiungono il ponte. Adesso, abbiamo già detto che l’abitudine alla comodità della nostra si farà risentire a breve quando si approprierà di un pezzo di legno di 228cmx90, ma l’aver contribuito a mostrare che tra il morire dimenticato da tutti e il morire degnamente accompagnato c’è differenza la rende leggermente più tollerabile e fa del film una palla atroce che però come divertissement infrasettimanale ci sta bene.
Poi, sarà che sono cresciuta, ma Giovanna e PG forse tutti i torti non avevano ragione: Leonardo di Caprio è bellillo, ja.