Compiti per le vacanze

(io adoravo i compiti per le vacanze. li finivo nei primi tre giorni di nullafacenza. tutti, tranne quelli di matematica)

  • Leggere ancora una volta Scrivere zen di Natalie Goldberg e ricordare il titolo originale, molto più bello, Writing down the bones;
  • Mettere in valigia più di un libro (i miei sono: La brava terroristaRacconti londinesi di Doris Lessing e voglio prendere anche La femmina nuda di Elena Stancanelli);
  • Vedere almeno un’alba al mare;
  • Fare il bagno al tramonto senza la fretta di tornare a riva o a casa;
  • Dichiarare il sabato mattina patrimonio dell’umanità;
  • Prendere sane distanze da tutto ciò che si illumina, squilla o vibra;
  • Continuare a lavorare con gli occhi;
  • Non consumarsi le dita per gli altri;
  • Sapere apprezzare gli spazi bianchi;
  • Non scrivere per farsi amare;
  • Arrampicarsi su un sentiero che non si sa dove porta;
  • Scoprire un bel film, possibilmente in un cinema all’aperto;
  • Avere una maglietta di filo sulle spalle;
  • Nuotare tanto;
  • Scrivere ogni giorno su un quadernetto come stai, cosa sogni, cosa vuoi;
  • Correre ridendo;
  • Dimenticarsi la fretta;
  • Comprare una tela e un paio di tubetti di acrilici maimeri: anche se non dipingerai niente di particolare, solo per l’odore e il ricordo;
  • Sentire il profumo dei limoni, comprarne un po’ per fare il limoncello;
  • Fare la spesa in compagnia perché è più divertente;
  • Visitare un posto nuovo mai visto prima;
  • Parlare con chi non conosci;
  • Aspettare con fiducia di vedere una stella cadente e poi un’altra ancora;
  • Esprimere i desideri che hai;
  • Cucinare un piatto nuovo (personalmente la mia sfida sarà il pane con le noci e le marmellate);
  • Apparecchiare fuori e cenare lì;
  • Non far mai mancare il Biancolella in frigo;
  • Cercare sul giornale una bella notizia e complimentarsi con chi l’ha scritta;
  • Ascoltare buona musica;
  • Re-imparare ad andare in bicicletta;
  • Salutare con affetto ciò che non puoi cambiare;
  • Ribellarsi alla mediocrità dei sogni che si infrangono;
  • Se le cose si sfogliano come una cipolla facendoti un po’ piangere, sapere che servono anche così anzi è meglio;
  • Cantare le canzoni che sanno mettere pace tra te e il mondo (una delle mie è questa);
  • Abbracciare qualcuno che ricambi stringendo più forte;
  • Avere dei fiori sul tavolo;
  • Raccogliere sassi;
  • Spedire cartoline, anche se dovessi spedirle a te stesso;
  • Sottolineare le parole che non vuoi dimenticare;
  • Essere gentile con te stesso;
  • Ricordare che stai facendo il meglio che puoi;
  • Disegnare senza paura di sbagliare;
  • Fare domande solo a chi può rispondere guardandoti negli occhi;
  • Sognare insieme a chi ami;
  • Non affaticarti per essere felice;
  • Respirare;

nota personale e saluti estivi: 

Luglio è un mese faticoso. Tutti gli oroscopi che ho letto mi hanno detto che non era il caso. La maggior parte degli astrologi è del mio stesso segno zodiacale: ho avuto la conferma di essere nata sotto il segno dell’Acquario quando ho letto le loro previsioni. Prima, alle volte, pensavo di essermi sbagliata; adesso pare che il nostro sguardo si sia incrociato sopra quello degli altri. Lo sai, eh? – si dicono le nostre pupille –  Non me ne parlare, guarda. Considerate le ultime settimane, tonde e pesanti come il mondo sulle spalle di Atlante, potrei dire di me che sono in perfetta forma fisica e che quella che vedete non è scoliosi ma l’astuccio delle mie ali*.

E dunque, passo direttamente ad agosto: al paese mio dicono che “è capa ‘e ‘vierno”, è la testa dell’inverno, e io l’ho sempre trovata bella come frase: al di là di quello che ci leggo oggi, mi piace ricordarmi di quando significava solo che se andavo a San Donato a cercare di vedere le stelle cadenti dovevo portarmi il maglioncino di filo e sarebbe bastato a proteggermi dal vento e dalla scomodità di stare sdraiata col naso all’insù sul cofano di una fiat uno verde militare.

Da qualche anno  – non so se 4 o 5  o addirittura 6 – c’è sempre la stessa canzone a farmi compagnia. Questa:

In realtà è nel mio lettore sempre, ma in questi giorni la faccio suonare molto: come buon auspicio, esercizio concreto di memoria, o solo perché mi piace. La prima volta che l’ho ascoltata – era il 2011, e adesso abbiamo una certezza sugli anni passati da – ci ho scritto su, di botto, una dozzina di pagine di un romanzo che è uscito, poi, l’anno dopo. Ma ho ancora dubbi sulle parole di questa canzone. Il titolo, ad esempio: August is for city lovers. Significa che Agosto è il mese giusto per chi ama la città che adesso è vuota e piena di sole e sembra stare lì solo per loro, un’infinita domenica pomeriggio senza nessuno da vedere, nessuno da chiamare? Oppure la traduzione più esatta è che questi giorni caldi sono fatti apposta per chi si ama, in questa Napoli che brucia o altrove? Qui ci sarebbero, allora, molte persiane abbassate di pomeriggio, quando la luce è più forte.

Le parole, poi: io e R. le abbiamo cercate per tanto tempo, credo lei sia arrivata addirittura a scrivere agli autori mentre io cercavo di desumere dalla pronuncia per farmene almeno un’idea, ma non le abbiamo mai trovate. Mi piace pensare che il verso finale sia “time don’t talk for us” o qualcosa del genere; che ad un certo punto dica “let’s take what is left to give“; sono sicura che il cantante chieda “don’t you feel this pouring rain” o “please stay for just one more night”. Un giorno più dazed and confused di altri, io e R. arrivammo a proporci una versione di massima che potevamo cantare io e lei, tanto il pezzo è semisconosciuto quindi non avremmo dovuto fare i conti con nessun fan precisino. Da allora l’unica preoccupazione di queste due tizie che si ostinano a chiamarsi amiche e a crederci tanto, è stata non spaccarsi i denti con il collo della bottiglia usato come microfono come quella volta che cantavano i REM in un bar ed erano tanto tanto felici e propositive. 

Infine c’è una volta, una delle tante volte per cui ho parole che potrei anche non avere, camminavo su via Foria. Avevo lasciato una persona all’angolo, se non ricordo male, o davanti alla metro, non lo so più. Presi dalla borsa le mie cuffiette e mi lasciai canticchiarla da sola con le parole che mi ero inventata. Poco dopo ne inventai altre, le scrissi in un’email e la inviai.

Adesso, invece: ho finito il romanzo nuovo e ha un posto nella valigia che sto riempiendo pezzo pezzo. Troverete sicuro qualche mio articolo sul Mattino. E ci vediamo tra un po’ di settimane come si ritrovavano i compagni a scuola a settembre: con la faccia abbronzata, i capelli un po’ più lunghi e i libri nuovi ancora tutti da comprare.

*questa metafora non è mia, è di Erri de Luca in Montedidio 
**in copertina “The Stand” di Claire Elan