La Fase2 è come il mantenimento della dieta.
Quando lo sai ma fai finta di no che se non stai attentissima riprenderai buona parte dei chili che hai perso.
E dunque, la quarantena è finita. Forse. Pare.
Sicuro è finito il lockdown.
Avevo promesso, a me stessa prima che ad altri, che quando questo giorno sarebbe arrivato, sarebbero dovuti venire a schiodarmi da terra e la terra era quella di Piazza Bellini, il mio ufficio emotivo, luogo che frequento con successo da 10 anni e anche di più. Quando dico con successo intendo che posso chiedere il rifornimento di noccioline tre volte prima che mi guardino male, che quel luogo sopravvive a tutte le versioni di me stessa in compagnia di altri che gli ho sottoposto, che nonostante sia la scenografia di passati vari ed eventuali
– la festa per l’ultimo dei miei vent’anni, quella per il primo dei trenta, svariate immagini di me alcolica dondolante sui tacchi con un vestitino blu elettrico di Zara che oggi mi fermerebbe la circolazione delle gambe, argomenti e topic importantissimi che pareva proprio potessero essere affrontati solo lì, con un calice di bianco e poi un altro e un altro ancora e, prima ancora, quando il mio stomaco era ancora in grado di reggerlo, una birra allungata con il Southern Comfort, ero specialista, adesso non mi ricordo più se la birra a cui aggiungere tale whiskey è meglio rossa o chiara –
insomma, nonostante tutto questo, a Piazza Bellini resta ancora spazio per il futuro, per pensare e pensarmi felice, nell’accezione che preferisco e cioè: brilla e impegnatissima, in un giorno tutto da venire e su cui non ho alcun programma. Una possibilità: me che vivo senza farmi il problema di come, con chi. Senza chiedermi se, tra un anno o due, quella persona o io stessa, ci saremo ancora. Perché c’è la piazza, c’è la città, c’è da berci su, e mi basta.
Adesso, a me piace, e anche molto, fare piani. Davvero. La cosa più tosta della quarantena è stata questa: non potermi figurare uno scenario e un obiettivo verso cui dirigere le mie azioni. L’ho detto, dicevo “quando sarà finito, dovrete venire a schiodarmi da terra”, ma quel quando non aveva coordinate, lo immaginavo sospeso, come sono sospese tutte le cose che riguardano il domani senza una data reale.
Tecnicamente, quel domani è arrivato, quel domani è oggi. E potrei onorarlo, cominciare subito, inserirlo in agenda, mettermi prima nello stato d’animo e poi nei vestiti adatti.
Immaginate: biondina sul margine estremo dello slargo, dirimpetto al conservatorio, pronta a fare non notte ma almeno tardo pomeriggio. Sola, in compagnia, che importa.
C’è Napoli, c’è la piazza, c’è gente che va e viene, passeggia, si ferma, compra sigarette accendini cartine, si allunga verso Port’Alba, aspetta l’arrivo di qualcuno che è in ritardo, chiama a telefono di spalle alle mura greche, ordina, da bere soprattutto.
Non so se è davvero così.
Questo tempo che pareva non dover venire mai, mi pare sia venuto troppo presto, troppo in fretta.
È in anticipo, non solo sui miei desideri, ma sulla mia incoscienza.
Non dico che avrei preferito continuare con la paura consapevole tremenda della Fase1, no. Ma sui compromessi responsabili della Fase2 non so se sono altrettanto brava.
È come con la dieta, il mangiare sano, l’andare in palestra, lo smettere di fumare o di bere superalcolici, il “farla finita con qualcuno o qualcosa”: quando inizi, lo fai motivata, di solito sconvolta, da una qualche improvvisa rivelazione su te stesso e cioè che se continui così finisci male. Allora ti impegni, soprattutto a negarti certe cose per il tuo stesso bene, a volte pagando qualcuno che dica “no” per te quando i tuoi “no” cominciano a vacillare. E i risultati arrivano, perché quelli arrivano quasi sempre.
Il problema è mantenerli.
Il problema è trovare una mediazione.
Il problema è il momento in cui sta a te.
La fase 2 è questo. Sta a me, sta a noi.
Non sono così certa che questo impegno coincida con me che mollo la presa della coscienza, mi lascio andare, mi occupo di facezie piccole, ordino un calice di qualcosa, rido e, finalmente, finalmente, non mi chiedo, non mi interessa, non voglio sapere cosa sarà.