Don’t forget: the change will save you

La ragazza in metropolitana non lo sa ma se la guardo è per le mani e per quel che tiene stretto. I quattro assi inchiodati tra loro, la tela bianca tesa allo spasmo, quanto possono essere precisi i gesti di una diciottenne? Questo facevo io, in un altro settembre di un altro anno, come lei adesso: compravo legno, vinavil e tempera, chiodi, grossi pezzi di iuta poco trattata, mi sistemavo in una stanzetta del chiostro, come i gesti restano gli stessi quasi fossero l’unica vera memoria possibile, lontana dalla nostra stessa volontà? Una lunghissima teoria di azioni preparatorie, fissa tra i piedi tenuti larghi il primo pezzo, monta gli altri nel nulla fino ad avere una cornice vuota, il quadro della situazione sono altri che ci vedi in mezzo e che come te vent’anni, mischiano bianco col bianco, stesi in doppia passata, orizzontale e verticale, attenzione ai grumi, al verso, all’acqua, al lino che assorbe bene o troppo, e se sbagli qui è come nella vita, te ne accorgi anni dopo da una crosta rappresa appesa in salotto. In quel settembre, in quell’anno, io andavo sporca di sanguigna e non sapevo che di quella vita avrei fatto davvero solo cento diverse campiture, guai a dare una forma precisa, solo macchie di colore e se ci vedi qualcosa è come nel gioco che si fa da bambini quando di una nuvola si può fare un coniglio, un re, un letto o un cane che corre.  Le cose le venivo a sapere sui treni e nel ganglio dei binari giravano anche i cilindri di una serratura, rumori fatti apposta per sentirsi soli nel mezzo, tu, la storia, cosa vuoi fare da grande, pensi davvero che?

No, non penso davvero altro che ci sono dei gesti cui non ti rendi conto d’aver accesso fino a quando non hai altra scelta che farli. Ed è diverso dal dire: prova. E’ un trucco delle abilità che ci portiamo sotto le dita o nelle gambe, abituati a pensare e scrivere ci si stupisce d’essere in grado di saltare o applicare precisione a qualcosa che non sia spingere il tasto giusto su una tastiera senza guardare la tastiera.  E’ un gesto rubato al cinema quello di alzarsi una mattina e montare dal nulla un quadro di un metro e mezzo per due, e buttarci sopra a occhi chiusi, gesso e tempera rossa, e trascinarlo, poi, in metropolitana – quasi come scappare da un palazzo in fiamme – e magari i film esistono e sopravvivono per quello, per il gigantesco catalogo di tutte le funzionalità del proprio corpo, più che dell’animo già esposto. Una gamma di potenzialità su scala pratica e oggi puoi: uscire di casa, andare a lavoro, dipingere, correre, gridare oh my god e anche saltare, lanciarti, puoi, fidati, l’unica legge è il movimento, ed è una legge splendida che ti consente di cambiare.

La canzone più sincera per il settembre, questo e quello di dieci anni fa, l’hanno scritta i REM qualche mese fa, in ritardo e parlando, per giunta, di un’altra città.