Sono arrivata a stimare Giusy Ferreri

E le verità che canta in una canzone tanto pop dai chiarissimi rimandi al Fortis prima maniera e non so se pensarla come una cosa buona o no, ma è per quella frase sul dolore da cercare negli occhi di un altro, come una specie di prova. Posso essere poco perspicace quanto voglio, farlo per scelta magari, ma solo fino a quel momento, e quando quel momento arriva sono cazzi, passatemela. Nella mia vita mi è capitato poche volte ed è abbastanza per sapere come stanno le cose e guardarsi allo specchio del bagno, gonfiare le guance d”aria e buttare tutto fuori come in un grandissimo ufffffff, che vuol dire: e che vuoi fare. Su, schiena dritta, pancia in dentro. Adesso sai.

Oggi presentiamo in Feltrinelli, Piazza dei Martiri, l’antologia Non è un paese per donne, la cosa potrebbe c’entrare poco e invece c’entra moltissimo, altroché. Io, a dispetto del titolo, non credo che l’Italia non sia un paese per donne. Credo, piuttosto, che nessun posto al mondo sia davvero un paese per donne, se nella definizione donna vogliamo comprendere un insieme di stati d’animo, di generosità o di richieste, e le lasciamo vagare libere. E non lo è non solo per una cattiva politica, no, è una cosa che impari a dodici anni, forse anche prima: non lo è perché non è possibile dire a gran voce, a me stessa o a un’altra: non vi / ci succederà niente di male. Al massimo si può dire: qualunque cosa succeda, la si supera, e non è una cosa buona come può sembrare, perché nella frase c’è una condanna che è quella di andare avanti comunque, anche se non vuoi, non ti va, vuoi startene a letto o montare su uno degli aerei che ti passa sulla testa facendo molto casino, la vita, per come la conosco, è un gigantesco tapis roulant, guai a metterti seduta, come minimo ti sporchi, ti graffi, se non stai attenta la gente ti passa per dosso senza chiedere, perché la gente ha già i fatti suoi a stare dritta in piedi. Dobbiamo, noi, sperare che in fondo, chi ancora può, riesca a conservarsi l’animo pulito, immune dalla grandissima bugia che ti vuole furba dopo un po’, attenta, educata dalla vita, dal dolore o da chissà chi? E’ questo l’augurio migliore?

Nel libro racconto la storia di Chinue, e Chinue è il nome di fantasia di una bellissima ragazza vera. Sulla strada, senza più domande o risposte, presa nella vuota barca del quotidiano incagliata tra Napoli e il nulla incenerito della litoranea di Eboli, ha raccontato a me che non c’è nessun capitano che ad un certo punto venga ad invertire la rotta a parte te che ti guardi allo specchio e idem come sopra. Ha raccontato tutto con la quieta pace che si chiede in tante suppliche alle Madonne: ottienimi rassegnazione, sciogli i nodi. Ogni tanto rideva e ho pensato forte che nessuno mai prega di imparare una lezione, perché le lezioni che impari a forza sono sempre sciroppi amari o tacculette di legno sulle mani (a scuola, da piccola, a me le davano quando provavo a scrivere con la sinistra; l’unica cosa che ha prodotto questa modalità è stata una maniera assurda di tenere la penna e le forbici, l’incapacità di prendere una cosa al volo e un’idiosincrasia fortissima per quelli che non sono insegnamenti ma imposizioni, non c’è niente di democratico e nessun amore nel dire: è così, e basta).

La verità, secondo la sua storia, è che in momenti di bisogno, quando si arriva a chiedere di essere curati da un dolore, ci si assume un rischio elevato, perché per essere curata devi sempre mostrare il punto in cui ti fa più male, non basta un generico altezza dello sterno, e devi sempre sperare che qualcuno non cerchi di misurarlo quel dolore, di spingerci sopra un dito per vedere se fa davvero tanto male come dici. Forse in questo senso, il nostro paese che dice di non avere dolore e che vede il tuo come un grosso sacrificio da sopportare e non da risolvere, non è un paese per donne e per donne dovrei estendere e ampliare la categoria a chiunque si aspetti dalla vita qualcosa più che una laudatio temporis acti, e da qui nasce forse la pletora di gruppi per cui l’Italia non è il posto giusto, giovani, neri, vecchie e così via.  Io direi di andare tutti a guardarci in faccia un momento, di là, un bell‘uffff collettivo, Giusy Ferreri, e passa la paura.

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