Il 25 Aprile spiegato ai piccoli. Anche se abbiamo trent’anni, sì.
Tonio era un bambino biondo e con i ricci. Io ero una bambina bionda con i ricci. Frequentavamo la stessa classe delle scuole elementari Molinello e avevamo entrambi una difficoltà di pronunzia della lettera s. A parte questo ci eravamo completamente indifferenti.
Ma sapete come sono gli adulti: pensano che i bambini siano scemi abbastanza da potergli imporre la volontà di un altro, fatto comprovato con l’iscrizione alla scuole dell’obbligo il cui scopo è più o meno farti capire sin da piccolo che non puoi scegliere in autonomia le persone da incontrare tutti i giorni.
Quindi, per scelta di altri, io incontravo Tonio, che aveva gli zigomi rossi, il pane e frittata nello zaino e suonava la fisarmonica e Tonio, senza aver potuto scegliere, incontrava me, che ero una bambina molto silenziosa, senza merendina e senza alcuno strumento da suonare.
Il fatto fu questo: per celebrare degnamente la Liberazione, la maestra Gianna decise che ognuno dei piccoli delle elementari avrebbe manifestato liberamente e dinanzi ad un nutrito pubblico di parenti, il suo essere sciolto e svincolato dalla partecipazione obbligatoria ad attività ludiche et educative del tipo Balilla etc.
Ci rese partecipi di tutta la storia per settimane, tra brandelli di sussidiari e stralci dal Teresio Bosco. Anna Frank la sognavamo di notte. Però il trucco del passato, specialmente quando ci riguarda tutti, è che può stare scritto: alla fine diventa una di quelle storie che avete già sentito, non sapete bene dove come e quando, ma la conoscete già, e allora è giusto passare avanti. Ecco, di solito in questo momento si fanno le maggiori stronzate, ma questa è un’altra faccenda
Fischia il vento la conoscete tutti, immagino. Fu scritta da un giovane medico, Felice Cascione, nel settembre del ’43, sulle note di una musica russa.
La canzone è rimasta, Felice Cascione 24 anni fu ucciso l’anno appresso, la maestra Gianna, nel 1990 chiese a Tonio di esibirsi in questo noto canto partigiano. Lui alla fisarmonica e Loredana alla chitarra.
Non vi ho detto chi è Loredana, lo so. Vi basti sapere che era una bambina come noi sebbene in realtà, più che somigliante a me o a Tonio o a qualsiasi altro dei piccoli in grembiule blu, lei sembrava una stronza. Difatti, il giorno della recita prese frettolosamente posto sulla sua seggiolina con la sua bella chitarra mentre Tonio, che nella timidezza riconoscevo per la prima volta, ancora incespicava con la custodia della fisarmonica.
Sapete come sono le recite scolastiche, tutti gli occhi addosso, i vostri genitori che in qualche affettuoso modo sperano di ricevere la coccarda di madre/padre dell’anno, e voi che ancora non siete riusciti a tirare fuori questa benedetta fisarmonica dalla custodia in pelle nera e rossa. Pesate una quarantina di chili, forse anche meno, la fisarmonica sta all’incirca sui sette. Vi chiedete se riuscirete mai ad arrivare alla seggiola che vi aspetta al centro del palco, ma su una cosa avete smesso di farvi domande: la stronzaggine di Loredana che ha già preso a suonare e cantare ed è già al verso topico scarpe rotte eppur bisogna andar.
Mai come in quel momento ve ne sono chiare le parole: forse i partigiani che dice la maestra Gianna hanno provato la stessa identica cosa che provate adesso voi, il comando dei piedi e del cuore e della testa tutti assieme per fare, seppure in una scala molto più piccola, limitata, ciò per cui vi sentite chiamati, spodestando i prepotenti.
Sì. Tonio decise che non gli importava della timidezza, della paura, di niente. Si voltò in direzione della seggiola, diede uno strattone alla fisarmonica, e buuuum! La fisarmonica volò direttamente tra il pubblico. Ora è forse giusto dirvi che le fisarmoniche costano un botto.
Morale della favola: Loredana continuò a suonare e cantare fino alla fine della canzone, facendo capire a tutti che ricordare a memoria le parole è una cosa, sapere quali corde toccare un’altra, e comparteciparsi un’altra ancora.
A me toccò di salire sul palco subito dopo per recitare un atroce tema sulla libertà che diceva, lo ricordo nitidamente, la libertà è come il mercoledì. Nel senso che sta sempre in mezzo, o almeno così immagino intendessi nella mia testolina settenne.
Tonio pianse per le successive tre ore, sul retro del palco, e non perché conoscesse l’esatto valore dei soldi o fosse addoloratissimo affranto per la perdita dello strumento musicale, ma perché c’è un margine di paura che ha a che fare con ciò che gli altri si aspettano da noi, e con quello che noi ci aspettiamo dagli altri. Qualche volta capita di superarle queste cose, e allora, solo allora, ci si rende conto che l’amore, o la storia, chiamatela come volete voi, è come il mercoledì nel senso che si ripropone, a intervalli regolari, cadenzati, e ci chiede sempre, in qualche modo, di andare a tirare fisarmoniche dalla custodia.