Fare e disfare
(continuamente e malamente e con amore, battere e levare)

Un post in cui le parentesi sono importanti

Se il tempo è una corsa truccata alla partenza, far piani e progetti è uguale a tentare di vincere al gioco delle tre carte a Piazza Garibaldi (c’è chi ci prova ancora, giuro). Avrei dovuto, allora, ben guardarmi da questo maggio e dalle mie idee su quello che avrei fatto o non fatto nel corso delle sue giornate, ma, che volete, maggio mi sembrava lontano tanto da poterlo immaginare senza paura di farsi troppe illusioni; e anche vicino, abbastanza da poter prendere la misura di un vestito e pensare fosse quella giusta e che nessun pensiero più di quelli che avevo già mi avrebbe asciugato i fianchi.

La verità è che ho dimenticato sia Pasternak che Saramago nell’anno della morte di Ricardo Reis, cosa che dovrebbe essere punita con un’ammenda formale, quella di mettere assieme due frasi, il fatto che “Viviamo per vivere, non per prepararci a vivere” con “Sarebbe meglio che saltassimo le settimane inutili per vivere una sola ora piena, un folgorante minuto” e farne una specie di mantra da dirsi davanti allo specchio per tre settimane, tipo Ho’oponopono (sì, so cos’è, una volta me l’hanno consigliato, e ci ho provato pure, giuro, ma alla seconda affermazione mi veniva da ridere, cose tipo “Mi dispiace. Perdonami. Questa maglietta mi fa le tette troppo grosse. Grazie. Ti amo. Devo cambiare maglietta”).

Come lo chiamo allora, questo mese che pareva non dover venire mai e invece è arrivato e mi chiede di pagare un centone per  “i pasti mal mangiati, i sogni derubati, i furti obbligati”? Me lo chiedo mentre piove e mi arrampico su per Monte di Dio cercando di non focalizzarmi troppo* sulla musica diffusa dall’ascensore pubblico (*ciò vuol dire che appena ho ripreso linea ho inviato un sms in cui la canzone veniva chiaramente esplicitata, così come il mio sentire, in modo che entrambe le cose fossero parole e non vaghe intuizioni da temere, e su entrambe non dovessi più riflettere perché già comunicate ad un altro, che aveva già fornito la sua versione in merito, quindi, come diceva il caro Bateman – Sean, non Patrick – rock’n roll). Me lo chiedo mentre un motorino, che non avevo visto, tenta di falciarmi (e la cosa non mi spaventa, e non so dire se è  perché qui capita spesso o perché mi sembra un’altra delle cose che – pur non messe in conto – ha il suo diritto di esistere, e chi sono allora io contro le possibilità?).

Insomma, una delle cose che mi è sempre sembrata chiara di me era la necessità, forte, di sapere – più o meno con certezza – entro quali limiti o confini o orari o giorni potessi muovermi, se non altro per una questione organizzativa. Ho temuto anche, per un certo periodo, di essere una di quelle persone che subisce il fascino del passato, per il solo fatto che è passato: quanto è confortevole immaginare possibili risvolti mai accaduti e che mai accadranno, roba che Tonio Kröger te lo puoi mettere nel taschino e presentarlo a tutti come il tuo amico cabarettista?

Scopro, invece, di essere incantata dal fare e disfare in maniera uguale, dalle eventualità del futuro che arrivano un giorno alla volta anche quando sono troppo stanca per qualunque cosa e quello che voglio è solo spogliarmi, stendermi sul divano, finire il libro che ho in borsa e non avere alcun programma, nessuno. Un tempo mi sarebbe sembrato scandaloso. Un tempo pensavo di dover esser meno lirica nelle mie cose e desideravo tantissimo una sola cosa: scrivere come se nulla fosse importante davvero, come se le cose da raccontare fossero solo infiniti dettagli di cui prender nota aspettando che la scena finale giri come una chiave nella porta e li faccia scattare tutti come cilindri di una serratura.

La chiusura, lo sguardo in camera, la scatola cinese.

Adesso, vorrei saper vivere così e non perché quanto succede o non succede non abbia un suo peso (un peso come quello dei bambini, di cui bisogna esser contenti mano a mano che cresce) ma perché, nonostante tutto, continuo ad aver fiducia o semplice caparbietà in tutto quello che può ancora essere e che non so (e non voglio sapere)(un certo gusto per le sorprese l’ho sempre avuto).

Sperare che il futuro sia all’altezza del margine che gli lascio: è forse questo quello che non avevo messo in conto?