Scala
Hai confessato, stamattina. Hai detto che sì, tu con me ci giochi pure, ma non c’è sfizio.
Un modo per passare il tempo, hai detto.
Ti ho comprato un cornetto con la marmellata, perché sei come me, i cornetti solo marmellata.
Non hai rettificato.
Ti ho comprato un gratta e vinci.
Niente.
Ti ho pagato un caffé e una bottiglietta d’acqua.
Nisba.
Ho pensato che è colpa mia se ti annoi, ho pensato che ho sbagliato a lasciarti vincere stanotte. E pure ieri. E anche ieri l’altro.
– Con te vinco sempre, non c’è sfizio. Coi miei compagni sarebbe diverso.
Non ti ho detto: quali compagni.
Ho detto sì.
Non ti ho detto: – guarda bello, dovresti saperlo, io mi conto i punti che hai e calo le carte in maniera di perdere mano a mano, non pensare chissà che, un re di picche una volta, un jack la seconda, e poi scale che, ti dico, non ho fatto in tempo a mettere giù anche se erano lì pronte.
Perdo a poco a poco, almeno questo concedimelo. Ti lascio vincere poco a poco. Fossi in un altro momento della tua vita, caro mio, ti straccerei, altroché.
E dovresti pagarmi anche la colazione.
E le sigarette.
Perché fossi in un altro periodo della tua vita, ecco, io fumerei ancora.
Invece faccio la salutista indefessa che non sa calare una mano buona di Scala 40 e si fa fregare dal barista di un centro commerciale di provincia.
Non sei mia figlia, dici, e ridi.
Dico scusa, dici non fa niente.
Non ti spiego che mi vergogno non di darti noia, ma di pensare che almeno la partita con queste carte, quelle francesi, voglio che tu la vinca sempre.
Per questo sono disposta a scendere a compromessi, cosa che non faccio dall’età di anni 7.