Scrutando il futuro
I grandi portoni erano chiusi quando sono arrivata davanti alla scuola e sulla superficie liscia, verniciata d’amaranto, si riflettevano piccoli spicchi di luce. Poi l’orologio della torretta ha suonato le tre e mezza di pomeriggio e nella piazza vuota e ombreggiata appena da poche foglie verdi, sono arrivati i messi comunali con i pacchi e le schede per il voto e i registri, gli impiegati comunali per la raccolta dati, il presidente di seggio e gli altri scrutatori, con una faccia spaurita più o meno come me.
Fare la scrutatrice non mi entusiasmava, ho raggiunto la mia sezione ciabattando per l’edificio vuoto di voci e bambini. Ai muri della struttura, costruita con poca fantasia ai tempi del fascismo, sopravvissuta a guerre mondiali e terremoti, c’erano i cartelloni sull’emergenza rifiuti: anche a questa catastrofe le aule hanno opposto resistenza, ma questa volta nei segni che mostravano non c’era orgoglio: così, prima di affiggere avvisi e divieti, liste per la camera e per il senato, spostare sedie e cattedre fino a formare un rettangolo ordinato, sederci e firmare e bollare schede, dividerle in pacchi da 50, ci siamo occupati di svuotare i cestini della carta pieni di monnezza, togliere la polvere sui banchetti, uccidere con rapidi applausi le varie, affamate zanzare e sistemare le finestre rotte alla meglio. Alle 9 passate sono arrivati i carabinieri ad avvertirci che noi eravamo gli ultimi: ovviamente ci hanno fatto i cuppitielli areto per tutto il tempo che ci è voluto a sigillare finestre e porte e apporvi le firme e i timbri.
I giorni dopo siamo arrivati che le campane della chiesa non avevano ancora iniziato a suonare la prima messa della giornata e davanti a noi, sin dalla prima mattina, hanno sfilato i più vari tipi umani. Guardando le facce, la vicinanza dei miei colleghi, cercando una corrispondenza nei registri, annotando uno dopo l’altro i nomi, le cifre e i numeri dei documenti di riconoscimento e l’entrata d’iscrizione nelle liste elettorali e la matrice della tessera, mettendo la mia firma a testimonianza di un’identità riconosciuta, io, che non volevo votare, ho iniziato a sentire in testa Fossati e il famoso giorno in cui tutta la gente si tende la mano. Al mio banchetto di polvere sono arrivati vecchietti arzilli o azzoppati, donne con i capelli bianchi e la treccia arrotolata a crocchia, e signore con i bambini gocciolanti del primo gelato di stagione e ragazzi che pensavano di dover votare lì, davanti a me, senza neppure entrare in cabina. E così, prima di chiudere il seggio mi sono fatta coraggio e ho chiesto a Fernando, il presidente di seggio, di timbrare la mia tessera elettorale. Ho preso le due schede e in religioso silenzio sono entrata in cabina, dove prima di apporre la mia X sul simbolo giusto, mi sono fatta pure il segno di croce (e più che fede è stata scaramanzia).
Poi ha vinto Berlusconi.
Mentre procedevamo allo spoglio, chiamando a voce alta la lista numero tot il rappresentante di seggio della Sinistra Arcobaleno ha risposto alla conta dei voti con un sonoro Ameeen. Siamo scoppiati a ridere tutti e sette, seduti sulle sedioline coi ginocchi a tozzare sotto il banco, e non era una risata amara, anzi. Sapeva di buono e genuino, il medesimo istante per tutti, prima di ritornare in una prospettiva di gnomi.
PS: ma voi avete presenti quelle maledettissime matite per il voto? Quelle matite grigine schifose che se per caso dimenticate in cabina o non riconsegnate insieme alle schede vi fanno una cazziata interminabile? Ecco, sì, quelle lì. Bene, sappiate che l’eventuale perdita di una di queste sfaccimme comporta una multa che può arrivare ai 300 euro. Ah, a proposito di multa: alla faccia degli sconti delle ferrovie per chi torna a casa per il voto, io non solo ho pagato cifra piena per un viaggio interminabile su un autobus sporco e zozzoso, ma visto che l’obliteratrice nella mia città è inesistente, dopo aver convalidato a mano come indicato sul retro del biglietto, mi sono presa anche un verbale da un controllore.