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INTERSTELLAR: Gli uomini per parlare d’amore ci mettono necessariamente 100 anni

La sapete quella della formica e del furgone?
C’è una formica sulla gomma di un furgone che tutta contenta zampetta qua e là e non si chiede mica dove si trova. Fino a quando non arriva il proprietario del furgone e mette in moto.

La formica è un uomo, il furgone l’amore. Salve e benvenuti, oggi parliamo di Interstellar.

A mia parziale difesa, che sia messa agli atti.

Settembre 2010, vado a vedere Inception al cinema con tutta la compagnia. O meglio, convinco tutta la compagnia a vedere Inception al cinema assieme a me. E nelle due ore e più di proiezione, guardando alcuni compagnielli rapiti dal genio di Christopher Nolan, penso 3 fatti e cioè:  

  1. Uao, i miei amici sono tutti dei patiti di film di fantascienza che però hanno tanti riferimenti sociologici da Augé a Bauman! 
  2. No, rettifico: sono tutte donne e quindi abituate alle palle stratosferiche; 
  3. Ehm, rettifico ancora, sono tutti fan di Leonardo Di Caprio che è universalmente e moralmente riconosciuto come espressione formale dell’uomo che rinasce dopo il crollo della società industriale, dopotutto era lui che moriva in Titanic per salvare il culo a quella cazzo di borghese progressista di Rose che se si spostava un poco hai mente, ci stavano entrambi sulla zattera;

All’uscita le ipotesi furono confermate: 10 minuti di “Hai visto che effetti speciali? Mi ha fatto pensare ai non luoghi” e anche “Comunque Leonardo Di Caprio è come il vino, più invecchia e più si fa bono” ma pure “Sembra il mio ex quando non mi telefonava per due giorni”.
Benissimo.
Ottimo.
Il punto è che non ricordo, da allora, di essere più andata al cinema in comitiva.  

Immaginate i dilemmi morali davanti a Interstellar. Immaginate quella cosa che tu vuoi, vuoi, vuoi fortissimamente vuoi vedere questo film maledetto di cui tutti vanno cianciando ma non te ne puoi prendere la responsabilità, no, che se poi si rivela essere Inception II sono problemi, rischi la vita. Il punto è che sapete quella cosa che uno sta stressato dopo una giornata di lavoro e si prende 5 minuti di full immersion sul web? C’è chi passa il tempo a fare scroll down sulla home di Facebook, chi cerca foto dei cuccioli di panda, chi si perde sui siti di ricette. Ecco, io no.
Io cerco foto dell’
Hubble. Io, Interstellar dovevo vederlo. 

Interstellar o anche “come e perché ho rischiato la vita” 

All’inizio c’è Matthew McConaughey. Matthew McConaughey, è bene dirlo, è il tipico fusto americano biondiccio con due belle spalle larghe e la faccia da schiaffoni, il genere di uomo che non ha ai miei occhi un briciolo di attendibilità ma che è bravo, eccome, sia a fare lo stronzetto nelle commediole rosa che a fare lo stronzetto nelle provocazioni patinate che tanto vale faccia lo stronzetto per bene anche nelle pubblicità dei profumi. Comunque Matthew qui non fa lo stronzetto: fa il giovane uomo scosso dagli incubi e dai rimorsi che un tempo era un astronauta e mo fa il contadino. Perché, guardatevi bene, nel futuro non serviranno libri, lauree e specializzazioni: nel futuro torneremo tutti con una zappa in mano, e avremo anche molta più polvere da togliere. Il film, in pratica, è ambientato in Cilento, nell’Italia post lite tra Junker e Renzi. Qui, in una specie di fattoria ma senza animali che c’è stata una grande moria delle vacche, come voi ben sapete, Matthew vive con il suocero, il figlio e la figlia, una bambina incazzosissima che si chiama come la Legge di Murphy . Il film è, in pratica, una puntata di Announo, ma invece di Vauro stanno gli anelli di Saturno.  

Poi il film vira clamorosamente dal dramma della pastorizia e dell’agricoltura al mondo di SuperQuark. La fantascienza filosofica è un genere difficilissimo e mi piacerebbe poter dire che da questo punto in poi “Interstellar” diventa paragonabile a “2001: Odissea nello spazio” o a “Solaris” o, ancora “Gravity”, “Gravity”  di Cuarón, l’uomo che ha reso omaggio alla cagnetta Laika più di tanti altri e che io ho amato al punto di indossare per 3 ore degli occhiali 3D che mi avrebbero fatto entrare a pieno diritto nel cast de “La mosca”. Ma purtroppo no: “Interstellar” resta quello che è, ovvero una storia in cui la scienza e la fisica quantistica sono tutte scuse per non parlare dell’argomento più temuto di tutti: l’ammmore.

Roba che mi vedo gli sceneggiatori e i produttori seduti a tavolino a fare discorsi tipo:

– Bello! Quindi lui si lancia in un wormhole per amore!

– No, guarda, il punto è che lui si lancia in questa dimensione altra perché è un esploratore che ha un dovere, una morale, cioè non gliene frega un cazzo di morire perché lui crede nelle sue capacità e vuole salvare anche il mondo.

-Ehm, sì, ma è ovvio che, sai, quando dice che per andare avanti bisogna lasciarsi qualcosa alle spalle, e poi capisci che è lui a considerarsi un peso per la bella astronauta, non il contrario, ecco, lì è chiaro!

-Cosa?

– Beh, un paio di scene prima le chiede se è innamorata di un altro e qualche scena dopo si lancia in un wormhole da solo, come dire…

– No, no, guarda, assolutamente, lui segue gli insegnamenti del suo maestro, vuole dare uno schiaffo morale a chi non crede nelle possibilità della fisica dei quanti…

– Sì, bene. E cosa mi dici della scena della libreria?

– Libreria?

– Sì. Sai, il fatto che all’inizio del film, Murph gli dice “Resta” ma lui se ne va, e alla fine lo vediamo piangere davanti alla stessa scena, vista da una dimensione parallela, con lui che urla a se stesso cose tipo “Resta, coglione!”?

– Bene, lì si parla di gravità.

– Gravità?

– Gravità.

– Bene. Mi ricordi quella battuta che fai dire a Anne Hathaway?

– Quale?

–  Quella battuta.

– Non ricordo.

– Sì che ricordi. 

– No, guarda, non capisco di cosa stai parlando.

– Senti, lui si chiama Cooper, no? Anne si chiama Brand, e si parlano, ad un certo punto… Cosa dice Cooper?

– Cooper ha detto tante cose, mica una che… (cit.)

– “La comparsa dell’amore è sovvertitrice di ogni buon ordinamento sociale della nostra vita” (cit.) 

– Quello era un altro film

– Ah, sì? Perché la battuta tua com’era?

– “L’amore è l’unica cosa che trascende il tempo e lo spazio”

– Non parlavamo di gravità?

– Ecco…

– Cosa?

– Io…. 

– Tu cosa? 

–  Io lo sapevo! Io non dovevo fare questo film! Io io io, io sono una persona sensibile okay? Okay, l’amore, sì, Interstellar è un film d’amore, cazzo, sì, lo ammetto, ma adesso datemi qualcosa da bere, vi prego, e un kleenex, grazie, grazie ragazzi, vi voglio bene, possiamo abbracciarci tutti per un secondo? Ecco, io avrei tanto bisogno di un contatto umano, sapete, non siate imbarazzati, vi prego, le mie tute da astronauta sono in realtà una metafora del dolore di non poter avvicinarsi davvero agli altri.  

“L’amor che move il sole e l’altre stelle” è l’ultimo verso della Divina Commedia, benissimo, e sviscerato il fatto che il caro Chris Nolan volesse trasmetterci proprio questo possiamo passare ad altro. Una cosa assai più succosa, intendo. Direte voi: fanno sesso? Davvero? No. E allora che c’è di più succoso dell’amore? Il rimpianto, cicci. Il rimpianto. Il rimorso. La serie inenarrabile di ricordi che mozza il fiato e che vi fa chiedere: “se non avessi fatto quello che ho fatto, come sarebbe andata?” e anche “se solo potessi tornare indietro un secondo e fare quello che andava fatto”. Non è una tematica nuova per la fantascienza, soprattutto quella degli ultimi anni (basti pensare a “2046“) ed è il motivo per il quale “Interstellar” alla fine mi è piaciuto: propone una tesi a riguardo non del futuro ma del passato e del presente. Propone anche e soprattutto un grafico a supporto delle distanze reali e dei modi per coprirle, questo:

Infine, il film risponde anche ad una domanda. Una sola, che non vi dico perché suppongo che per quanto la radice sia la stessa, il mio e il vostro quesito siano formalmente diversi. Vi dico la risposta, che facciamo prima:“tutto quello che può accadere,accadrà”. Non mi ricordo se è Albert Einstein, La legge di Murphy o solamente mia zia, ma pare sia abbastanza scientifica da crederci. Sapete com’è, il fatto è che gli uomini per parlare d’amore ci devono mettere per forza un centinaio d’anni. Più qualche peste, carestia, morte, distacchi e lo sbarco su un altro pianeta, ovvio.

E ora forza, riprendete in mano le zappe.