Tagnapoli

Proposta di traduzione in dialetto per il concerto di Bruce Springsteen

Je te voglio spusà

T’aggia vista cammena’, picceré, p”a via
Tirann’ annanz ‘e pier’ ‘o carruzzino
Cu nu nastro sulitario int”e capille
Dimmelle, ca te l’he mise pe’ mme

Tu nun rire mai, nun parle mai
Tu cammine e basta, picceré, sittimana appriess’a sittimana
Crescenne doje creature ‘a sola
Adda essere na vita solitaria, chella ‘e na figliola ca fatica

Picceré, je te voglio spusà,
oh, picceré, je te voglio spusà
T’aggia ritt’ ‘e sì,
picceré, je te voglio spusà

Mo, bambulé, nun ‘è ca je te voglio male
ma vene nu mumento ca ‘e perzone annà penza a certi ccose
A se fa ‘na casa e ‘na famiglia
e guardà n’faccia ‘e responsabilità
Diceno ca l’ammore vero, a finale vince sempre
ma a finale l’ammore nun ‘è na favola
Si te dico ca faccia addivintà ‘e sogni tuoje realtà magari me sbaglio
Ma, picceré, magari ‘na mano t’a pozzo rà

Picceré, je te voglio spusà,
oh, picceré, je te voglio spusà
T’aggia ritt’ ‘e sì,
picceré, je te voglio spusà

Pateme è muorto dicenne una cosa justa
Ca l’ammore, l’ammore ‘o vero è sulo na bucia
Teneva ‘o core spezzato, ‘o povero omme, quann’è muorto
e ‘na vita comm’a soja è ‘na cosa tosta

Stanno cose allere e cose assaje tristi
quando vuo’ na perzona cu tanta passione
ma je porto l’ammore mio senza scuorno
e sarraggio orgoglioso, si te putesse rà ‘o nomme mio.

Picceré, je te voglio spusà,
oh, picceré, je te voglio spusà
T’aggia ritt’ ‘e sì,
picceré, je te voglio spusà

(Niente, è che ho sognato un maxischermo per il concertone di Bruce Springsteen a Napoli, su cui scorreva la traduzione, in dialetto di I wanna marry you, una delle mie canzoni preferite del Boss. Roba che poi, poteva anche duettare con Gigi D’Alessio su “Sposa Ragazzina”.)

Vamosalaplaia

Una giornata sul lungomare (la parte non liberata e dunque raggiungibile con poco) a prendere il sole fiacco della città.
È tardi per andare a: Miseno, Bacoli, Licola, Baia o Varcaturo e il giorno festivo non ci ha dato fede necessaria per confidare nel trasporto pubblico, le cronache ci daranno ragione al rientro, quando non penseremo di essere furbi ma, piuttosto, vaccinati, comunque adesso del futuro non sappiamo niente, manco ci interessa, quindi si fa così: ci sentiamo alle 11, a mezzogiorno siamo per strada e dalle strade ai lati del centro storico, linee tirate per portare dentro e fuori dal grumo di monumenti e turisti e piazze, siamo nelle vie dei negozi per dare un occhio alle vetrine, e poi su questa rotonda improvvisata, due chilometri a piedi per due chioschi semovibili che vendono birre ghiac
ciate e taralli caldi e gelati e caffé, posto che continuo a consigliare a chiunque mi chieda, dov’è Napoli, dov’è che la vedo bene, in faccia, di faccia al mare, agli scogli. Il tavolino preso in ostaggio per il prezzo di due magnum al pistacchio è un anticipo sostenibile delle vacanze, più che dell’estate: qui, d’agosto, nessuno riuscirà a resistere più di dieci minuti, invece, a maggio, teniamo i piedi scalzi sul ferro vollente della balconata e sotto di noi che non ci spogliamo, i ragazzi l’hanno già fatto, hanno vinto caldo e vergogna in un colpo solo, si tuffano al tre, davanti alle bancarelle che vendono cozze e direttamente dal marciapiede sono a mare.

Sono a mare, che importa se tra le auto e le barchette su sui si reggono in un equilibrio perfetto appreso dai gatti,  ci sono sì e no venti metri, che importa se noi due femmine restiamo cittadine con le nostre sigarette, i nostri discorsi su cosa fare dopo, su chi vedere e perché, per decidere poi che stiamo benissimo così, a due passi da un ombrellone fissato nel cemento in assenza di sabbia, dove i barcaioli di Pacioccone Noleggio Gommoni con tanto di numero telefonico impresso sul telo gialloverde pranzano pastasciutta e odore di mare stremato che senti solo quando il vento fa un giro basso?

Oggi, primo di maggio,  tutto va bene.

Il posto giusto per fare programmi è la tua agenda

Fare compagnia alle giornate di una persona è cosa complicata: c’è l’ordine pratico da rispettare, la colla di azioni da compiere come far la spesa, recarsi a lavoro, rispettare scadenze, il necessario margine per gestire anche le incognite del quotidiano senza mai perderne la prospettiva lunga.

Chiedersi: quello che lei/lui farà oggi, quali sviluppi avrà da qui ad una settimana? Una domanda semplice ma a cui nessuno può rispondere a cuor leggero: tenere conto della vita di un altro significa, soprattutto, scaglionare la propria. E’ un compito da madre e da padre, è un compito da innamorati, quello di guardare alla giornata di una persona che non sia tu con lo stesso entusiasmo e senso pratico che avresti con te stesso.

Un’agenda questo fa. Potreste obiettare che un blocco di fogli recanti le date da qui ad un anno non è una persona, ma è fatta da persone. Qualcuno, mesi prima di oggi, ha deciso per i colori dei tuoi giorni, ha scelto di fornirti una vista lunga da qui ad una settimana, di cadenzare le ore della tua vita lavorativa e sociale in righe da riempire.

E’ anche vero che oltre questi margini tecnici, nella vita di ognuno di noi esiste una quota parte lasciata alla bellezza o quanto meno alla sua ricerca: dell’interesse per qualcosa che non sia  impegno sulle spalle io non so dire male. Quello spazio riservato alle personali inclinazioni, agli amici, a quelli che abbiamo scelto o si sono fatti scegliere come compagni è importante tenerlo a mente. Un’agenda può far questo? Quella di cui vi parlo sì.

Ogni mese, per dodici mesi, vi parla di qualcuno che non siete voi, con una storia che non è la vostra, ma che in un certo senso conoscete: è la vita di Peppino dei Quartieri Spagnoli che vi è sfrecciato davanti mentre attraversavate via Roma, è l’esistenza di Marco che non vede, ma cammina in questa città proprio come voi, è il giorno di Ana, Maria e Natasha sedute sul ciglio della strada che vi porta al lavoro. 

Di Napoli si parla molto, spesso troppo e le cose che si raccontano di lei sono già cronaca, hanno il passato nel codice genetico: possiamo allora indignarci, intristirci anche, ma non possiamo far molto perché la prima regola di ciò che è raccontato è che non lo si può più cambiare. Le storie che abbiamo scelto, invece, sono in itinere: nessuna di loro è conclusa, per nessuna di loro non si può far niente, tutte necessitano di qualcosa che sia riconoscimento, coscienza, accanto alla propria vita, della vita di un altro.

L’agenda di cui vi parlo la presentiamo domani 14 dicembre, alle 15,30 alla libreria EvaLuna di Piazza Bellini. Ha tre colori e un solo nome, che è un verbo al gerundio: Agendo. E di azione parla, declinata sia nelle milleuno cose da fare a cui tutti noi andiamo incontro svegliandoci ogni mattina, sia in un agire meno dettagliato ma non per questo meno concreto: è sostegno, è sincero interesse, è ideale, è aiuto per chi ha bisogno, chiamatelo come preferite, io lo chiamo amore, da intendersi in senso lato: è voglia di fare per il posto in cui viviamo, per la gente che lo popola, per le vite degli altri, per la propria, per il prossimo anno, che sia migliore di quello appena passato.