A te che oggi torni a lavoro, a te che vorresti tornarci
Quest’anno il 1° maggio è arrivato di domenica: ciò significa che anche se abbiamo lavorato sodo, di base non abbiamo avuto l’onore di prenderci una pausa che non fosse già prescritta fuori dalla settimana lavorativa.
Mi piacerebbe, allora, che oggi per 10 minuti potessimo festeggiare, senza che nessuna emergenza, meeting, cosa da fare subito ci turbi o distolga dal proposito. No, non sto parlando di portare le paste a lavoro né di offrire un caffè a tutti i presenti: sto dicendo proprio che mi piacerebbe che trovassimo un modo per onorare lo spirito della Festa dei Lavoratori, se ci ricordiamo ancora cos’è oltre il concertone e via dicendo.
Come si fa.
Beh, se per prima cosa potessimo guardare in faccia i nostri colleghi e far loro gli auguri in maniera sincera, non sarebbe male. Troppo spesso è proprio tra le persone che dividono con noi le ore e lo spazio lavorativo che ci si sente a disagio, poco uniti, poco vicini, poco uguali.
Pensate se io alzassi ora la testa e mi congratulassi con il mio dirimpettaio di scrivania per i grandi successi raggiunti da noi lavoratori in campo economico e sociale. Mi prenderebbe per pazza, sicuro.
Okay, lo faccio.
(reprise dopo 3O secondi netti)
Il mio dirimpettaio mi ha sorriso e detto: “ricambio. Siamo rimasti in pochi”. La poca loquacità la addebitiamo al lunedì mattina, va bene, ma sono contenta di questa considerazione?
Vedete, nella mia famiglia la disoccupazione pare sempre molto più certa di un lavoro stabile sicuro e ben retribuito. Mio padre, per esempio: nonostante studi superiori, una laurea – festeggiata con pane e mortadella sulle scale dell’Università, questo per dirvi che il soldo mancava da sempre – ha trovato il posto nel 1992, quando avevo già nove anni e il “piano di rientro finanziario” sapevo benissimo cosa fosse.
Non è che non lavorasse: lui sistemava giardini, coglieva pomodori, faceva disegni tecnici che poi firmavano gli altri ma di cui era molto orgoglioso – ricordo un cartellone a pixel – e si vergognava tantissimo, povero papo mio. Forse per questo motivo ho cominciato a lavorare presto, non volevo farmi trovare impreparata: supermercati, banchi frutta, volantinaggio, ricordo persino un negozio di giocattoli, qualsiasi cosa pur di non dover chiedere a qualcuno che soffriva a non poter darmi. E poi, il giornalismo.
Con tutta la mia atipicità, nel corso del tempo, sono risultata quella sistemata rispetto a cugini, amici, etc.
Vuoi vedere allora che per celebrare degnamente il 1° Maggio con un giorno di ritardo dovremmo fare gli auguri a loro, a quelli che conosciamo tutti sicuro, quelli che non sono occupati, sistemati, tutelati soprattutto nel senso emotivo del termine e che stamattina un posto dove andare a lavorare vorrebbero averlo eccome, mentre noi ancora sbadigliamo?
Vuoi vedere che forse è anche più semplice perché giovani senza lavoro lo siamo stati tutti? In fondo allora sì che era facile essere l’uno felice per l’altro, davvero, dei progressi in campo economico e sociale. Mica era una sconfitta vedere uno come te trovare, finalmente, un po’ di pace.
Significava, se mi ricordo bene, che i tuoi studi erano serviti a qualcosa.
Significava che avevi qualcuno a cui chiedere indicazioni.
Significava, soprattutto, che potevi farlo anche tu.